Una macchina fotografica non ha mai creato una grande immagine, come una macchina da scrivere non ha mai creato un grande romanzo.
Galeotto fu quel libro, palloso all’inizio, in cui Serena Dandini rimuove i colori dal suo racconto un po’ biografico, un po’ storico ed un po’ noir sulla storia di quella che è stata un simbolo del “femminismo al femminile”, quello fatti di atti che da eroici diventano vezzi tutti al femminile. Per Lee Miller la Vita è un gioco molto serio, da giocare in due su un campo grande quanto l’intero Pianeta.

Mi perdoni il mio Amico Ciancicato per il banale ed “incomprensibile” incipit ma come introdurre, come riassumere, come approcciare alle innumerevoli vite che hanno scolpito una figura tanto eroica quanto seducente ed a mio avviso “triste” come quella della musa “maledetta” di Man Ray, Top Model, sebbene ancora non era stato coniato il termine, di Vogue, dell’amante perfetta le cui labbra hanno stregato i nomi più importanti del Surrealismo? E che dire della straordinaria somiglianza di Lee con Marina Abramovic nella vasca del Fuhrer? Come performance ci sta tutta… solo che quella performance mi piace immaginarla come liberatoria, una morte di qualche minuto dopo anni di inferni documentati e vissuti e donati alla storia!
Alle sette del mattino, prima di soddisfare una fame immaginaria – il sole non ha ancora deciso di sorgere o tramontare – la tua bocca viene a soppiantare tutte queste indecisioni. Unica realtà, che da valore al sogno e ripugna al risveglio, essa rimane sospesa nel vuoto, fra due corpi. La tua bocca stessa diventa due corpi, separati da un orizzonte sottile, ondulato. Come la terra e il cielo, come te e me.
Man Ray
Elizabeth, che tutti chiameranno Lee, nasce a Poughkeepsie in un giorno d’aprile del 1907. Il padre Theodore è un inventore di origine tedesca con la passione per la fotografia che trasmette ai figli. La madre Florence MacDonald ha invece origini canadesi, scozzesi e irlandesi. In famiglia ci sono anche il fratello maggiore John e il fratello minore Erik. Lizzie è la figlia di mezzo e anche la favorita dal padre e diventa presto sua allieva e modella.
Quando ha appena 7 anni subisce un abuso sessuale durante un soggiorno da amici a Brooklyn. La mamma è in ospedale e la bambina è loro ospite per alcuni giorni. Sulla vicenda cala il silenzio della vergogna e non si appurerà mai il colpevole – forse un marinaio di passaggio, un amico di famiglia o un parente, per qualcuno il suo stesso padre che la ritraeva spesso nuda. Di sicuro c’è che la bambina contrae la gonorrea. Al tempo le cure si limitano a dolorosi lavaggi quotidiani interni e le urla di Lee si sentono a grande distanza. Per tutta la vita conserverà il ricordo del dolore e dell’onta sentendosi sporca, marchiata, macchiata.
Sembravo un angelo fuori. Mi vedevano così. Ero un demonio, invece, dentro. Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina
Lee Miller
Nel 1925, a soli 18 anni, si trasferì a New York per studiare all’Art Students League (dove iniziò a interessarsi all’arte e al design teatrale) nel 1927 ecco che per lei si aprì la strada della moda: mentre stava per attraversare incautamente una strada, venne notata dal celebre fotografo Condé Nast, il fondatore della casa editrice di Vogue. Affascinato dal suo volto particolare e dai suoi occhi intensi, Nast la lanciò come modella, facendola apparire sulla copertina di Vogue nel 1927. A richiederla negli anni Venti sono soprattutto i grandi fotografi dell’epoca che la ritraggono per le copertine di Vogue America. Basta guardare i suoi ritratti per capire perché: oltre alla bellezza, Lee aveva una forza interna, un magnetismo, la capacità di attrarre e di occupare l’obiettivo con l’eleganza di una statua ellenica e la potenza di una donna moderna.
Negli anni successivi, Lee Miller lavorò con alcuni dei più grandi fotografi del tempo, come Edward Steichen e Arnold Genthe, diventando rapidamente una delle modelle più richieste dell’epoca. Nel 1928 è coinvolta in uno scandalo commerciale: un suo ritratto a figura intera, scattato da Steichen, è utilizzato per una pubblicità di assorbenti femminili. È la prima volta che l’immagine di una donna è associata ad un prodotto così intimo e le proteste non passano inosservate. Neanche Lee inizialmente approverà la scelta di Steichen, ma poi si ricrederà andando fiera di aver contribuito ad abbattere un tabù tra i più radicati nella società.
Tuttavia, il mondo della moda non la soddisfaceva appieno: voleva essere non solo davanti all’obiettivo, ma anche dietro di esso.
Nel 1929, Lee prese una decisione radicale: lasciò New York e si trasferì a Parigi, decisa a diventare fotografa. Qui riuscì a entrare in contatto con il celebre artista e fotografo surrealista Man Ray, di cui divenne allieva, assistente, e poi la musa, l’amante. La Parigi degli anni Trenta è un fermento di idee, di movimenti, di sperimentazioni. Lee Miller e Man Ray insieme testarono tecniche fotografiche innovative, tra cui la solarizzazione, che produceva effetti stranianti e onirici nelle immagini. Miller si immerse completamente nel mondo del surrealismo, frequentando artisti come Salvador Dalí, Pablo Picasso, Jean Cocteau e Max Ernst. Man Ray è geloso, ossessionato. Lee lo lascia e prende il largo: dopo quattro anni di vita parigina torna a New York, apre uno studio di fotografia nel 1932 e torna a lavorare per Vogue: caso, forse unico, come modella e come fotografa.

Sposò il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey e si trasferì al Cairo. Al Cairo e nel deserto torna alle foto d’arte, a volte con intenti antropologici, più spesso semplice art pour l’art. Ma il matrimonio non placa lo spirito libero e irrequieto di Lee che, infatti, fugge di nuovo non appena sopraggiunge la noia di un uomo e di un ambiente ormai fin troppo domestici. Il desiderio di libertà e di nuove esperienze la spinse a tornare in Europa. Nel 1937, durante un viaggio a Parigi, incontrò il pittore e critico d’arte britannico Roland Penrose, con cui iniziò una relazione che sarebbe durata tutta la vita.

Insieme vagano per l’Europa spingendosi fino in Grecia e Romania e trascorrono una magnifica estate a Mougins, nel sud della Francia, con Picasso e Dora Maar, Paul Eluard e Nusch. C’è anche Man Ray che dopo essersi roso a lungo per averla persa resta legato a Lee da profonda amicizia. In questa occasione fotografa Picasso e il pittore la ritrae su alcune tele. È l’ambiente in cui si sente più a suo agio e nel 1939 decide di abbandonare l’Egitto per trasferirsi a Londra.
Vive a Hampstead con Roland quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Penrose è richiamato alle armi, a Lee consigliano di tornare a New York dove riprende a lavorare per Vogue – stavolta come fotografa. Ma sente di non essere al posto giusto. Ignorando le preghiere della famiglia e le suppliche degli amici torna nel Regno Unito e documenta i bombardamenti nazisti. Lee Miller non aveva davvero paura di nulla e infrangeva spesso il divieto di rimanere in prima linea durante gli scontri. Fu l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il D-Day e a documentare le attività al fronte durante la liberazione. Ha seguito la guerra in diversi luoghi, dalla Normandia alla liberazione di Parigi, all’assedio di St. Malo, ai combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia.
Mi sembra piuttosto stupido continuare a lavorare per una rivista frivola come Vogue, che può essere buona per il morale del Paese ma un inferno per il mio.
Lee Miller
Dal 1939 al 1945 fa parte del London War Correspondents Corp e dal 1942 è l’unica corrispondente di guerra donna accreditata presso l’esercito degli Stati Uniti insieme a Margaret Bourke-White. Condé Nast le affida l’incarico di seguire la guerra in Europa. È tanto raro per una donna andare al fronte quanto inconsueto per Vogue dar spazio a temi così lontani dalla propria linea editoriale.
Uno dei suoi reportage più scioccanti fu la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. Le sue fotografie di scheletriche figure sopravvissute ai lager e delle fosse comuni divennero tra le prime testimonianze visive delle atrocità naziste. Profondamente segnata da ciò che vide, Miller non esitò a documentare anche i crimini di guerra dei nazisti, contribuendo a creare una memoria storica visiva di ciò che era accaduto. Uno degli scatti più celebri della sua carriera la ritrae nella vasca da bagno di Adolf Hitler, nella sua residenza privata di Monaco, poco dopo che la città fu occupata dagli alleati. Con questa foto provocatoria, Miller – con gli anfibi sporchi di fango, gli abiti di lana pesante accanto alla statua classica di cui lei mima il gesto sensuale – sembrava voler sottolineare l’assurdità della guerra e il crollo del potere del dittatore.

A scattarla, il grande fotografo di Life David E. Scherman.
Dopo la guerra, Miller soffrì profondamente a causa delle esperienze vissute al fronte. Cadde in una grave depressione e sviluppò un disturbo da stress post-traumatico (PTSD), che la portò a ritirarsi progressivamente dalla fotografia. Sposò Roland Penrose e si trasferì con lui in Inghilterra, nella loro casa a Farley Farm House, che divenne un punto di ritrovo per artisti e intellettuali. Negli anni successivi, si dedicò alla cucina e alla scrittura, cercando di trovare un nuovo equilibrio. Tuttavia, il suo lavoro come fotografa cadde nell’oblio per molto tempo, fino a quando il figlio Antony Penrose, negli anni ‘80, riscoprì i suoi archivi e si impegnò a far conoscere il suo straordinario contributo alla storia della fotografia. Tutto fino al 1977: con l’ultima sigaretta tra le labbra, Lee esalerà il suo ultimo respiro.
FONTI
https://www.vanityfair.it/article/lee-miller-man-ray-amore-arte-gelosia
https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a30358842/lee-miller-fotografa-modella
https://www.harpersbazaar.com/it/lifestyle/viaggi/a35968125/lee-miller-immagini
https://www.vogue.it/article/lee-miller-storia-vera-modella-vogue-diventata-fotografa-guerra
https://www.phocusmagazine.it/la-fotografa-surrealista-maria-di-pietro
https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/lee-miller