Peter Lindbergh – Donna e luce

Peter Lindbergh – Donna e luce

Uno studioso al microscopio vede molto più di noi. Ma c’è un momento, un punto, in cui anch’egli deve fermarsi. Ebbene, è a quel punto che per me comincia la poesia.

— RENÉ MAGRITTE

Per Peter Lindbergh basta una Donna, magari inarrivabile e bellissima ed un po’ di luce affinché il mito possa diventare moda, realtà e cultura nel tempo di uno scatto! Per quanto possa essere ricordato come IL fotografo di moda più influente dell’ultimo ventennio Peter Lindbergh è stato prima di tutto un avanguardista in merito alla ricollocazione della figura della Donna e del suo diritto alla parità soprattutto culturale nella società contemporanea.

Lindbergh è stato l’artefice di una grande rivoluzione nel mondo della fotografia di moda: trasformare creature perfette ed inarrivabili come le top model, in donne terrene, dotate di umanità, facendole uscire da una gabbia patinata ed esaltandone il carattere. Erano gli inizi degli anni’90 quando il fotografo, grazie al sostegno della neodirettrice di Vogue, Anna Wintour, stupì il mondo offrendo un’immagine familiare delle divine modelle: poco trucco e indosso una semplice camicia bianca. Qualcosa di completamente diverso per la prima volta appariva sulla copertina della rivista più autorevole in ambito di moda. Nei suoi scatti la bellezza perde la propria attrattiva puramente estetica e si trasforma in esaltazione della personalità, della vulnerabilità e sensibilità di ogni essere umano e della donna in particolare. Fotografie meno impostate, apparentemente casuali, dotate di grande realismo e una malinconia che potremmo definire una reminescenza del passato, quasi un’eredità geografica dei cieli grigi e delle atmosfere cupe dell’ex Germania dell’Est, la stessa che egli stesso ha attraversato nella sua infanzia.

Lindbergh nasce nel 1944 a Leszno, nella Polonia occupata dai tedeschi e trascorre l’infanzia a Duisburg, in Germania. Da ragazzo lavora come vetrinista per i grandi magazzini Karstadt e Horten nella città tedesca in cui trascorre la sua giovinezza. All’inizio degli anni Sessanta si trasferisce in Svizzera, a Lucerna, per poi fermarsi poco dopo a Berlino dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti.

In quegli anni è sulle tracce del suo idolo, Vincent van Gogh, per questa ragione è spesso ad Arles e visita la Spagna e il Marocco, trascorrendo due anni in viaggio. Il ritorno di Peter Lindbergh in Germania coincide con la frequentazione del Kunsthochschule (College of Art) di Krefeld. Influenzato da Joseph Kosuth e dal movimento dell’arte concettuale, nel 1969 è invitato, prima di laurearsi, a presentare i suoi primi lavori alla Galerie Denise René. Dopo il trasferimento a Düsseldorf nel 1971, rivolge la sua attenzione alla fotografia e lavora per due anni come assistente del fotografo tedesco Hans Lux, prima di aprire il proprio studio all’età di soli 29 anni. Divenuto famoso nel suo paese natale, si unisce alla famiglia della rivista Stern insieme ai fotografi Helmut Newton, Guy Bourdin e Hans Feurer.

Nel 1978, Peter Lindbergh si trasferisce a Parigi e inizia a lavorare con Vogue: le sue fotografie sono protagoniste della versione inglese, tedesca, francese, americana e italiana del prestigioso magazine di moda. Le sue collaborazioni continuano successivamente con Vanity Fair, Allure, Rolling Stone e The New Yorker. Nel 1988 fotografa la modella israeliana Michaela Bercu, in outfit Christian Lacroix, per la prima copertina di American Vogue sotto la direzione di Anna Wintour.

Tra le top model più celebri immortalate da Peter Lindbergh, vanno ricordate (tra le altre) Christy Turlington, Naomi Campbell, Kate Moss, Linda Evangelista, Cindy Crawford e Tatjana Patitz, alcune delle quali protagoniste di una spettacolare copertina per il numero gennaio 1990 dell’edizione britannica di Vogue.

Peter Lindbergh è stato per ben tre volte la firma del calendario Pirelli – ai tempi, unico artista a essere scritturato per tre edizioni – nel 1996, 2002 e 2017. La versione del 2002 presentava per la prima volta delle attrici anziché modelle con uno shooting avvenuto nel backlot degli Universal Studios. Un numero di svolta del celebre calendario, descritto dalla femminista Germaine Greer in The Guardian come “il calendario Pirelli più impegnativo fino a quel momento”.

La prima volta che ho visto le mie fotografie sui muri del mock-up della mostra, sono rimasto sorpreso, ma in modo molto positivo. È stato travolgente trovarsi così di fronte a chi io sono

Peter Lindbergh

Per Lindbergh la fotografia di moda può – e dovrebbe – esistere molto bene senza mettere la moda al centro. Le sue immagini trascendono con successo il proprio contesto, ridefinendo i parametri della fotografia di moda e della cultura contemporanea. Il portfolio di Lindbergh è attualmente parte di diverse collezioni permanenti in molti musei d’arte in tutto il mondo ed è stato anche ospitato in prestigiosi musei e gallerie tra cui il V&A di Londra, il Centre Pompidou di Parigi e il PS1 del MoMa di New York.

Gli scatti di Lindbergh per Vogue e Harper’s Bazaar, i calendari Pirelli e le campagne di Calvin Klein e Dior hanno reso il fotografo tedesco molto popolare. Le sue immagini eleganti e cinematografiche non solo hanno lasciato un segno importante nel mondo della fotografia e della moda, ma sono giunte anche nel territorio della cultura pop. Questo perché, alla fine degli anni ‘80, Lindbergh osò fare ciò che pochi fotografi di moda avevano fatto prima: mostrare le modelle così com’erano. Il suo bianco e nero – cinematografico, contrastato e per certi versi “industriale” – è un tratto fondamentale della sua estetica.

Se negli anni Novanta fu il primo a promuovere un’ideale di bellezza che evitava il foto ritocco, con il passare del tempo Peter Lindbergh fu sempre più vicino al tentativo di cogliere l’essenza nei suoi sontuosi ritratti, carichi di drammaticità. Curata dallo stesso Lindbergh, la mostra postuma Untold Stories, in Italia conclusasi a Torino nell’ottobre 2021, è una delle prove più consistenti di questa tendenza che il fotografo tedesco accentuò negli ultimi anni della sua carriera.

Io vivo a Parigi. Sono stato qui per 40 anni e penso di essere fortunato. A New York, cosa fai? Puoi andare a Long Island, che ha alcuni posti meravigliosi. Ma qui puoi andare a Barcellona, ​​Roma, Berlino, Stoccolma e Amsterdam. Questo è ciò che amo dell’Europa. Siamo molto fortunati a vivere qui, nel cuore di un crocevia di così tante culture. Quello che mi piace molto dell’Europa è la diversità.

Peter Lindbergh

All’età di 74 anni Peter Lindbergh muore nella ormai “sua” Parigi, città in cui si era trasferito dal 1978.



FONTI

https://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Lindbergh

https://ilfotografo.it/il-fotografo/grandi-maestri-peter-lindbergh-la-bellezza-reale

https://www.vogue.it/moda/article/peter-lindbergh-intervista-paolo-roversi

https://www.vogue.it/news/article/peter-lindbergh-untold-stories-mostra-torino-paratissima

https://www.reflex-mania.com/peter-lindbergh/

https://www.artribune.com/progettazione/moda/2019/09/e-morto-peter-lindbergh-il-leggendario-maestro-della-fotografia-di-moda/

https://www.vogue.it/moda/article/morto-peter-lindbergh

https://www.rsi.ch/info/cultura-e-spettacoli/%C3%88-morto-Peter-Lindbergh–1169836.html

https://www.open.online/2019/09/04/e-morto-peter-lindbergh-il-fotografo-delle-star-al-naturale-la-sua-missione-contro-la-dittatura-della-perfezione

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