C’è un che di manzoniano, da “Promessi sposi”, ma anche molto di Steinbeck, nella vicenda tribolata di Richard e Mildred Loving che nella Virginia ultra segregazionista di fine anni 50 si trovarono, loro malgrado, a inventarsi delle forze che non sapevano di avere per potere vivere insieme. Lui, muratore biondo, taglio a spazzola, di quegli omoni sempre in camicia a scacchi e scarponi Redwing; lei, minutina, con sangue nativo e afro-americano; con loro i tre figli, ragazzini scatenati. Lo scenario in cui si muovono è la pancia rurale degli States, quella dei campi a perdita d’occhio e delle casette di legno con il portico davanti, tirate su nel nulla, dei viottoli che vanno chissà dove, delle domeniche in camicia bianca, passate girando in auto. Della storia non vi anticipiamo nulla; se difficilmente qualcuno ha visto il documentario del 2008, probabilmente qualcun altro la conosce avendo visto “Loving – L’amore deve nascere libero ”, il film diretto da Jeff Nichols nel 2016. Rimasto invero non per molto sugli schermi italiani, è un lavoro molto ben fatto, quasi documentaristico, in cui i protagonisti, come sicuramente accadeva nella realtà, si esprimevano più coi silenzi e gli sguardi che con le parole. Quando pubblicammo il servizio su Casa Vogue era l’aprile 2013, dunque ante film di Nichols. Come i lettori sapranno, in genere il numero di aprile di qualsiasi rivista di arredo, causa concomitante Salone del Mobile, ha un’attenzione più marcata a soggetti e tematiche direttamente legate al design e all’architettura contemporanei. La vicenda di Richard e Mildred, i loro interni scarni erano invece agli antipodi, ma tuttavia, la forza delle foto di Grey Villet che dava alla vicenda il gusto sincero della poesia delle piccole cose, senza sentimentalismi iperglicemici, ci convinse alla pubblicazione. Il risultato era ed è di un’attualità impressionante. Ecco, non è una storia da instagrammare, ma da conoscere e magari rifletterci per un momento. Sicuramente fa crescere. Giudicherete leggendo. (Paolo Lavezzari)
Richard e Mildred Loving non avevano intenzione di divenire i paladini dei diritti civili in America. Volevano solo vivere nella natale Virginia e crescere i figli in pace. Ma quando, in una notte del luglio 1958, lo sceriffo della contea di Caroline irruppe nella loro casa per arrestarli con l’accusa di “incrocio razziale”, marito e moglie furono costretti a chiedere aiuto. Richard è bianco, Mildred è in parte afro e in parte nativa americana. E nella Virginia di quegli anni il loro matrimonio, celebrato fuori dallo Stato, è considerato un reato. Central Point, il paese dove vive la coppia, è povero ma ben integrato. Richard fa il muratore e da sempre è abituato a lavorare con afroamericani. È appassionato di gare di dragster e ha una vettura truccata con cui corre insieme a due amici di colore. Uno di loro ha una sorella, Mildred, e una sera la presenta a Richard. I due si piacciono, s’innamorano e decidono di sposarsi senza troppo pensare alle conseguenze del loro gesto, che li porta invece dritti in galera. Dopo qualche notte in prigione, viene offerta loro la seguente alternativa: un anno di carcere o l’esilio. Decidono di andare via e si trasferiscono a Washington, D.C., dove il loro matrimonio è legale.
Ma quando tornano in Virginia per visitare le famiglie sono arrestati di nuovo. La battaglia giudiziaria che ne segue dura nove anni e segna una tappa fondamentale lungo il cammino per l’affermazione dei diritti civili. Contrariamente ad altri casi, in cui i media sono usati per influenzare l’opinione pubblica ed esercitare pressione indiretta sui giudici, durante tutto il processo i Loving preferiscono mantenere un profilo basso, rilasciando poche interviste ed evitando qualsiasi esposizione inutile. E il pubblico reagisce dimenticando presto la loro storia. «Non volevano alcuna pubblicità», ricorda Philip Hirschkop, l’avvocato che difese la coppia davanti alla Corte suprema degli Stati Uniti. «Un po’ per evitare di diventare bersaglio degli estremisti del Ku Klux Klan, ma soprattutto perché tenevano alla loro privacy. Erano persone timide e riservate». L’unico giornale cui la coppia concede accesso è “Life”, che manda il fotografo sudafricano Grey Villet a casa loro per due settimane. I Loving, però, chiedono alla rivista di dare alla loro storia uno spazio ridotto. Pur essendo famoso per i suoi lunghi reportage fotografici, “Life” accetta, pubblicando solo poche pagine e selezionando le foto più neutre fra quelle scattate da Villet. Il fotografo è noto per la sua capacità di svelare la natura intima dei soggetti ritratti, mettendoli a proprio agio come se le sue lenti fossero invisibili. Ha coniato anche un termine, “psychograph”, per descrivere le immagini più riuscite, quelle che rivelano la psiche di una persona attraverso i suoi gesti più naturali. Durante il suo soggiorno con i Loving, Villet scatta migliaia di immagini, usando spesso lenti lunghe per essere meno intrusivo. E, fra le circa cento che offre al giornale, ce ne sono molte cariche di emozioni.
Al processo, il procuratore dello Stato della Virginia sostiene che i figli nati da matrimoni interraziali sono «vittime e martiri dei loro genitori». Ma le istantanee di Villet che ritraggono i tre bambini dei Loving – Sidney, Donald e Peggy – mentre giocano e ridono dicono il contrario. Peccato che non siano viste da nessuno. Le immagini pubblicate, infatti, sono fredde: niente lacrime, niente baci, nessuna intimità. I coniugi non sembrano neanche sfiorarsi e sono sempre ritratti insieme ad altri. «Le foto scelte da “Life” non svelavano il motivo reale che spinse queste due persone a lottare in tribunale per tornare a vivere da marito e moglie nella loro terra natale», dice Erin Barnett, curatrice della mostra organizzata lo scorso anno dall’International Center of Photography di New York con le immagini scartate dal magazine. «Richard e Mildred affrontarono questa battaglia in nome del profondo amore che li univa. Le foto di Villet lo mostrano». Il settimanale aveva spesso dedicato spazio a temi legati ai diritti civili, come le lotte contro la segregazione nelle scuole o contro la discriminazione sul lavoro. Ma questo caso era diverso: toccava un argomento ancora molto controverso nella società americana.
Secondo un sondaggio dell’istituto Gallup, nel 1958 solo il quattro per cento degli americani approvava le unioni fra persone di razze diverse. «“Life” era un giornale popolare e probabilmente temeva di offendere la sensibilità dei lettori», spiega Barnett. Il risultato è che gli scatti più evocativi e simbolici che raccontano la storia dei Loving finiscono nel dimenticatoio. Fino a quando una filmmaker, dopo aver letto sui giornali il necrologio di Mildred Loving, s’incuriosisce del caso e decide di girare un documentario sulla storia. «Era il 2008. Un candidato alla presidenza come Barack Obama non sarebbe potuto neanche esistere senza i Loving», ricorda Nancy Buirski, autrice del documentario “The Loving story”. «Il loro caso è alla base della libertà di matrimonio in questo paese ed è reso ancora attuale dal dibattito sul riconoscimento dei matrimoni gay». Per realizzare il film, Buirski ha bisogno d’immagini. I protagonisti sono entrambi scomparsi: Richard in un incidente d’auto, pochi anni dopo la sentenza che, nel ’67, riconosce l’incostituzionalità della legge contro i matrimoni interraziali; Mildred nel 2008, stroncata da una polmonite a sessantotto anni, mentre viveva ancora nella casa di Central Point, in cui è ritratta nelle foto. Dei figli, l’unica superstite è Peggy Loving.
In un cassetto conserva una settantina di foto dei genitori scattate nel 1965, quando la famiglia aveva ottenuto un permesso temporaneo per tornare a vivere nella casa in Virginia in attesa di giudizio. «Erano le foto che “Life” aveva scartato e che Grey aveva regalato ai Loving», ricorda Barbara Villet, giornalista e vedova del fotografo, scomparso nel 2000. «Era rimasto toccato dal lato umano della vicenda, dalla storia d’amore fra Richard, Mildred e i loro figli». Le immagini hanno dato a Buirski l’opportunità di raccontare in video questa vicenda praticamente dimenticata dal pubblico americano. E di riesumare gli inediti di Villet, che in giugno saranno nuovamente in mostra a New Orleans, alla Stella Jones Gallery. «I Loving non volevano cambiare il mondo, solo tornare a casa», dice Buirski. «Erano persone semplici, senza ambizioni politiche. Ma la loro storia dimostra che chiunque può fare la differenza».