Sono la gente che incontro, anche quella con cui non parlo, le loro storie ed i loro sguardi che arricchiscono il mio bagaglio di passioni. Sono ciò che i miei occhi vedono e quello che di tutto ciò il mio dito riesce a rubare al tempo con uno scatto. Sono le persone che ho conosciuto e quelle che oggi frequento, sparse in ogni parte del mondo sia conosciuto che sconosciuto, la loro amicizia ed il loro senso del giusto e del bello. Sono il vino e l’alcool compagni di notti di sogni e grandi discorsi regalati alle lune in cui il mondo diventava d’un tratto giusto, buono e colorato. Sono quel libro letto e riletto, l’unico senza un granello di polvere sulla copertina, poggiato sullo scaffale della mia stanza, l’unico di cui non ne ho mai capito veramente il senso più profondo e per questo mi ostino a rileggerlo ogni notte. Sono i miei amici e quelli che mi hanno tradito ed i loro impagabili insegnamenti di vita, dal sorridere al piangere. Sono i tasti del pianoforte con cui Bill Evans conversava con se stesso, soprattutto quelli neri posti ai margini della tastiera che non riuscivano a stonare. Sono le donne che ho amato e quelle che mi hanno fatto sentire amato riempendomi della paura che può provare chi teme l’irripetibilità degli istanti. Sono l’aria che ho respirato durante i miei viaggi, quella ricca di profumo di spezie, ricca di voci sconosciute e suoni di chitarre, fisarmoniche e scarpe di turisti. Sono il vecchio ubriaco con lo sguardo basso che pensa alla mia vita guardando i riflessi nel bicchiere sempre a metà mentre le stelle lo ricoprono di luce. Sono ciò che accadrà stasera ed i sogni che non farò mai, il dipinto di vernice spray sul muro di mattoni rossi della fermata del treno e la firma del writer sulla porta della carrozza della Cumana. Sono il treno abbandonato sul binario morto di quella piccola stazione nella valle piemontese, con i vetri rotti, arruginito testimone di viaggi mai finiti. Sono il naso all’insù del bambino che gioca con il suo l’aquilone giallo e rosso ed il sorriso travolgente dell’uomo di sei anni che porta i mattoni dal fiume al villaggio. Sono i pensieri che ribollono durante le ore passate ad annoiarmi ed il sudore della mia fronte mentre lavoro dodici ore lontano migliaia di chilometri da casa. Sono il tempo che vola e quello che non riesce a passare in fretta quando invece dovrebbe sparire all’istante. Sono ciò che vivo, sono l’insieme di tutte le esperienze che catturo ad occhi aperti e socchiusi, sono i sospiri del sesso e le urla di piacere, i singhiozzi del dolore ed il rumore delle lacrime. Sono me stesso, solo e sempre me stesso.

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