Dai quadri coperti con una tenda alla tenda dipinta nel quadro

Dai quadri coperti con una tenda alla tenda dipinta nel quadro

Anticamente i dipinti venivano spesso coperti con pannelli di legno. Questo avveniva soprattutto per le immagini sacre allo scopo di proteggere l’opera ma soprattutto per poterla svelare ai fedeli come un’apparizione divina, specialmente nelle occasioni solenni.

È così che nel Medioevo si sviluppa il trittico, un’opera costituita da tre pannelli incernierati di cui gli scomparti laterali, larghi metà di quello centrale e solitamente dipinti anche sul verso, costituivano la copertura.

Nel caso di opere profane l’eventuale coperchio serviva invece a celare un dipinto e creare poi un effetto sorpresa nel momento in cui veniva aperto. In questo esempio, una tela di fine Settecento che raffigura l’adorazione del dio Fascinus (un fallo alato) è nascosta da una stampa fiamminga del Seicento con un’innocua scena pastorale.

È probabile che in origine anche la celebre Maja desnuda di Francisco Goya fosse coperta dalla Maja vestida con un meccanismo simile (ma questo non eviterà al pittore di essere processato dal tribunale dell’Inquisizione).

Per certi versi anche la tipologia del dipinto bifacciale (cioè dipinto su entrambi i lati) fa parte di questa tradizione, ma in questo caso veniva mostrato alla vista un lato per volta.

La copertura più frequente però era realizzata con tende scorrevoli. Agganciate a una barra metallica, potevano essere aperte per mostrare il dipinto sottostante.
Questo esempio seicentesco della pittrice olandese Maria van Oosterwyck è un raro caso di quadro che ha conservato la cornice originale munita di anelli e barra orizzontale. La tenda in seta verde è stata invece rifatta.

L’abitudine di coprire i dipinti con tende, anche per preservarli dalla polvere, è ampiamente documentata nei dipinti stessi. Tanti sono i quadri nei quadri di area fiamminga e olandese che testimoniano questa pratica.

Ce n’è uno, in particolare, realizzato nel 1630 da Willem van Haecht, che raffigura una ricchissima collezione di dipinti fiamminghi, tedeschi e italiani, realmente esistenti, in cui molte opere sono dotate di tendina.

Quest’usanza probabilmente veniva dall’analoga tradizione religiosa di coprire statue e pale d’altare con tende e drappi, che avevano lo stesso ruolo di strumenti di disvelamento posseduto dalle ante dei trittici.

Una tradizione rivelata anche da opere precedenti, come la Madonna Sistina di Raffaello del 1512-1513, che si libra tra due tende aperte sospese con anelli.

Ad un certo punto però, più o meno negli stessi anni del Seicento, avviene un salto concettuale: la tenda che copre il dipinto non è più un vero drappo di seta appeso a una sbarra ma un tessuto trompe l’oeil dipinto nel quadro stesso.
L’esempio più riuscito si deve a due artisti che nel 1658 hanno collaborato alla realizzazione di una natura morta: Adriaen van der Spelt che ha dipinto la ghirlanda di fiori e Frans van Mieris che ha aggiunto la tenda azzurra.

L’insieme è uno straordinario gioco di illusionismo che raddoppia la meraviglia del disvelamento e allo stesso tempo echeggia la leggenda della rivalità tra i pittori greci Zeusi e Parrasio narrata da Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia“.

Secondo il racconto, Zeusi partecipò a una competizione dipingendo un grappolo d’uva talmente realistico che gli uccelli tentarono di beccarlo. Parrasio invece dipinse una tenda. Sicuro della sua vittoria, Zeusi tentò di scostarla per vedere l’opera del rivale, ma quando si accorse che era dipinta ammise la sconfitta: lui era riuscito a ingannare gli uccelli ma Parrasio era riuscito a ingannare un pittore!

È possibile che questa storia fosse conosciuta anche da Rembrandt, uno dei primi artisti a simulare una tenda ad anelli posta davanti al dipinto. È il caso della Sacra famiglia del 1646, una scena di intimità domestica svelata dal piccolo sipario rosso che passa sopra la cornice, anch’essa dipinta.

Il suo allievo Nicolaes Maes ha ripreso questo schema nel 1655 su una scena profana, quella di una cameriera che origlia una donna che grida. Stavolta il ruolo della tenda è più intrigante: la cameriera si volge a guardare verso di noi, portando un dito alla bocca per invitarci a non fare rumore, e noi diventiamo suoi complici, nascosti dietro la tenda a spiare il litigio.

Gerrit Dou, un altro allievo di Rembrandt, usa invece la tenda illusionistica in un dipinto del 1650 per svelare il proprio autoritratto, anch’esso concepito come un trompe l’oeil in cui il pittore sfonda la cornice di una finestra assieme al libro sul davanzale e al foglio di carta appeso al muro.

Con Gerahrd Houckgeest, un altro pittore olandese del Secolo d’oro, la tenda copre l’immagine degli interni dell’Oude Kerk di Delft. La scena, dipinta nel 1654, rivela la sua natura di oggetto bidimensionale dal momento che l’asta che sostiene la tenda proietta la sua ombra sull’ipotetica superficie del dipinto.
Il senso dell’operazione non è molto distante da quello di Magritte con la sua pipa: il pittore crea un dipinto realistico ma subito dopo nega quella illusione riportandola sul piano bidimensionale della pura rappresentazione.

Questa tenda è quasi identica a quella che pochi anni dopo Jan Vermeer inserisce nella celebre Ragazza che legge una lettera davanti alla finestra aperta.  Qui la differenza è che, essendo rappresentata alla stessa scala della stanza e avendo gli anelli poco visibili, la tenda non sembra un oggetto sovrapposto al dipinto ma un arredo della camera, scostato per spiare un momento di intimità domestica.

L’effetto drappo-sul-quadro è molto più eclatante in una tela di Jan Steen del 1665. L’opera del pittore olandese raffigura l’interno di una taverna dove si mangia, si beve e si canta. La scena ha però un significato morale rivelato dal bambino sul soppalco, accanto alla finestra, che fa le bolle di sapone accanto a un teschio. Quel particolare significa che la vita è breve e può finire da un momento all’altro, come una bolla di sapone. Un ammonimento verso quell’umanità intenta a gozzovigliare che il drappo sollevato incornicia come a teatro, un sipario alzato sullo spettacolo della vita umana.

La tenda può coprire infine anche sopra una natura morta sul tavolo come nella tela di un vero maestro del trompe l’oeil, il fiammingo Cornelis Norbertus Gijsbrechts. Il suo drappo verde, appeso con anelli a una barra, come da tradizione, si ripiega virtuosisticamente sopra la corda usata per aprire il tendaggio in modo da svelare un trionfo di cibo e di colore. Un espediente vedo-non-vedo che rende quella composizione ancora più ghiotta.

Dopo il Seicento questo speciale inganno pittorico tende a sparire rapidamente. Restano pochi esempi provenienti da aree diverse. Ad esempio una Venere con Cupido di scuola francese del 1770…

… o una tela con l’incontro tra Alessandro Magno e Rossane, dietro una tenda trompe l’oeil, dipinto da Pietro Rotari intorno al 1754. Quest’ultimo non riprende in realtà il modello della tendina sospesa con anelli, quanto quello del velo poggiato sul dipinto, un escamotage che, ancora una volta, trasforma il quadro in oggetto fisico, dato che non ha nessuna relazione con la scena né a livello di scala né a livello di composizione.

La tenda, insomma, crea profondità e la nega allo stesso tempo, inganna l’occhio ma gli rivela la finzione dell’immagine, è all’origine della pittura ma ne racconta i più moderni aspetti concettuali.
Come non innamorarsene?

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Per scrivere questo articolo ho consultato il prezioso The Frame Blog: An introduction to frames with covers, shutters and curtains  Part 1  Part 2  Part 3

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