Dalla parte del drago #35: Tolgo la polvere da certi volumi

Dalla parte del drago #35: Tolgo la polvere da certi volumi

Se nell’estate del 1931 Walter Benjamin tolse la sua biblioteca dalle casse, o almeno quello fu l’anno in cui il libro venne pubblicato, anch’io molto più banalmente approfitto delle vacanze per spolverare le mie mensole. Mi accorgo però di aver trascurato certi volumi e di aver scritto più di qualcuno che di altri autori. Ce ne sarebbero da aggiungere, certo, ma provo a rimediare mettendo dalla parte del drago chi ancora non si è messo: Maurice de Vlaminck, ad esempio. Nacque a Parigi nel 1876 ma dall’età di tre anni (e fino all’adolescenza) visse in campagna iniziando a dipingere sotto la guida di qualche pittore locale. L’altra sua grande passione era la bicicletta che gli consentiva lunghissimi giri poetici e senza meta, che lo convinsero a divenir corridore e a guadagnarsi la vita – almeno per breve tempo – partecipando alle corse domenicali e vincendo. Nel 1896 una malattia però sopraggiunse e fu costretto a rinunciare alle sue gare dedicandosi esclusivamente al violino e all’arte. Discuterà poi nelle bettole di Montmartre con i grandi del tempo: Picasso, Derain, Braque, Jacob, Apollinaire. Dopo un viaggio in Inghilterra ammetterà che “viaggiare per rinnovarsi significa non aver più niente da dire”. Si allontanerà dal cubismo, conoscerà Modigliani, Carrà, Boccioni, Soffici e Marinetti. Si ritirerà in campagna, avendo avuto successo, ma bofonchiando fino alla morte, amaro, come sanno essere alcuni anziani.

Maurice De Vlaminck, Interno di cucina, 1904, Olio su tela, 55×46 cm

“Divento vecchio imparando sempre”, ripeteva Solone durante i suoi ultimi anni, ma al nostro pittore il verso non si addice. D’altronde sono solo gli anziani che invecchiano (Melville) e io ricordo con entusiasmo quell’interno di cucina del 1904, vangoghiano d’ispirazione eppur diverso, che sembra già anticipare il Fauvismo, con il tavolo in obliquo, il dominio del rosso, la signora con lo strofinaccio, il lavabo, la vetrata e il vuoto. “Se sei pittore, guarda solo in te stesso”, ripeteva invece il nostro. E come dargli torto?
Resto in Francia, almeno per questioni di nascita dell’autore, notando con stupore la polvere su un altro volume: è Jean Fouquet. Torniamo dunque indietro di qualche secolo, ma ci avviciniamo a noi geograficamente, per un ritratto composto alla corte d’Este. È quello del buffone Gonnella, rappresentato postumo e con incredibile realismo, ottenuto da un ravvicinato primo piano del busto che taglia fuori più d’un dettaglio. Bouquet dovette rimanere colpito dalla tragica sorte che subì il povero ometto in seguito a uno scherzo organizzato proprio dal suo protettore. Niccolò III d’Este, adirato da un’iniziativa del Gonnella per un’inventata guarigione, simulò una condanna a morte per decapitazione del povero buffone che il giorno stabilito s’inginocchiò con la testa sul ceppo in attesa che il boia gli tagliasse il collo. Al posto della scure sulla sua testa scese però un secchio d’acqua che spaventò a tal punto il pover’uomo da fargli venire un infarto e farlo morire lo stesso, impressionando o dispiacendo a tal punto Fouquet che decise di immortalarlo con il noto ritratto.

George Romney, Lady Arabella Ward, 1783-88, Olio su tela, 76×63,5 cm

Ma scuotiamo la polvere da un’altra copertina e attraversiamo la Manica. George Romney nacque nell’inverno del 1734 nell’Inghilterra Nord Occidentale e divenne il grande ritrattista della ricchezza e della società inglese. Girò parecchie città d’Europa, ebbe un ventennio di successo ma morì depresso, almeno così ci tramandano. Si affezionò tantissimo alla modella Lady Arabella Ward che cominciò a posare per lui nel 1784 ma che fu poi trasferita a Napoli, causandogli grandi sofferenze tracciabili in una lettera nota: tutte le belle donne erano per lui stelle, lei era addirittura la luna. E come biasimarlo, davanti a quel ritratto con il grande cappello azzurro, il profilo regolare, il sorriso appena accennato dalle labbra ben contornate, i capelli mossi e lo sguardo dolce, che sembra fatto ad arte.

James Abbott McNeill Whistler, Sinfonia in Bianco n. 2, 1864-65, Olio su tela, 76x51cm

Diamo fuoco alle polveri – e speriamo di averle tenute all’asciutto – che ho un altro libro chiuso da molto, con in copertina un altro ritratto: è Mrs. Catherine Swindell, altra bellissima donna, eseguita dalla mano di Joseph Wright di Derby. Pittore prima della scienza e della rivoluzione industriale che adattò poi la sua carriera alla ritrattistica, rimanendo però isolato in provincia. Mrs. Swindell ha i capelli raccolti con una specie di chignon che termina davanti e dal quale pende un velo trasparente che sembra anticipatre il tulle di pochi anni. Ha perle ovunque, il sorriso trattenuto e un naso importante che rompe l’ovale del volto. Lo sguardo intenso, la bocca carnosa, le ciglia lunghe: per sedurre non manca proprio niente.

James Abbott McNeill Whistler, Notturno in nero e oro – Il razzo cadente, 1872-77, Olio su tela, 60.3×46.6 cm

Altro colpo di straccio e vedo un donna al caminetto. È la copertina del volume di James Whistler con la Sinfonia in Bianco n. 2 dove la sua amante Joanna Heffernan (che è la stessa di una sinfonia pregressa) compare con l’abito bianco rigonfio e il volto di profilo che si rivela in toto e assorto nel riflesso allo specchio. Il braccio corre lungo la cornice del camino e sfiora due vasi con la mano che lascia ben notare la fede: l’amante è divenuta moglie e il pittore, che iniziò a firmarsi con una farfalla, visse qualche anno felice. Almeno fino alla critica che gli mosse l’influente John Ruskin nel 1877, che definì‬ il suo quadro del Razzo Cadente come un barattolo di colore buttato sulla tela in faccia alla gente. E lì si aprì un dibattito sul diritto dell’artista di decidere quando un’opera potesse considerarsi finita e che Whistler vinse amaramente. Fu infatti risarcito con una somma irrisoria e spese il resto della vita cercando di rientrare dalle spese del processo. Continuò dunque a realizzare pitture, pastelli, litografie e acqueforti, fino al 1903, anno della morte, senza mai gettare la spugna, che butto invece io ora, terminando qui la mia distratta pulizia.

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago

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