Elogio della distrazione. La distrazione come alleata della creatività

Elogio della distrazione. La distrazione come alleata della creatività

«Mi piacciono le persone distratte;
significa che hanno idee e che sono buone;
i cattivi e gli stupidi hanno sempre presenza di spirito.»

L’ennesima call, l’ennesimo problema a lavoro. Tutti cercano il colpevole e nessuno la soluzione. I respiri che si fanno sempre più accelerati, ad un certo punto, senza nessun apparente motivo, rallentano. Ti ritrovi a guardare fuori dalla finestra e tutte quelle discussioni, ora diventano chiacchiere vuote, voci che fanno rumore, mentre le nuvole fanno suono. Passano due minuti, due minuti soltanto, ma passa il tempo necessario per cui la vita ti reclama a sé. Un solo piccolo momento di distrazione per essere assente al contesto, ma presente a te stesso. La realtà ci richiama all’ordine, ma quei due minuti ci lasceranno un sapore di buono, che vorremo riprovare, che vorremo di nuovo rischiare se questo vuol dire vivere anche solo per due minuti.

Distrazione e noia nel nostro mondo frenetico e iper produttivo sono termini che vengono considerati in accezioni sempre e solo negative. Il motivo? Perdita di tempo: distrarsi, annoiarsi non portano con sé un fare, ma un rallentare, un fermarsi, un riflettere e ormai sappiamo benissimo – anche se non lo diciamo mai ad alta voce – che la riflessione fa paura ad un’economia malata. Come ci insegna il filosofo Aristotele, e che è bene ribadire ogni volta, bisogna ricercare sempre il giusto mezzo e quindi il tipo di distrazione a cui si fa qui riferimento, è proprio quella che vive nel giusto mezzo. È infatti impensabile anche una vita vissuta da distratti. Il giusto mezzo della distrazione invece può salvarci dall’appiattimento che ormai sentiamo vivere quotidianamente su ogni livello esistenziale.

Che la distrazione faccia bene alla nostra salute e che in qualche modo ci rimetta in contatto con le parti più nascoste di noi stessi, è sostenuto anche dallo psicologo e neuroscienziato Michael C. Corballis. Nel suo libro La mente che vaga. Cosa fa il cervello quando siamo distratti, sostiene infatti che vivere momenti di distrazione, momenti che gli inglesi chiamano off-task – fuori dai compiti – è una forma di riposo che per assurdo ci permette di recuperare lucidità. A pensarci bene questo pensiero non è lontano da quando, afflitti da un problema apparentemente senza soluzione, la nostra mamma o nostra nonna ci consigliavano di distrarci e che la soluzione sarebbe poi arrivata da sola. E il più delle volte era così: bastava distogliere lo sguardo da un problema per vedere che accanto brillava la strada per uscirne fuori.

La distrazione – pensiero sempre sostenuto dalle neuroscienze – favorirebbe anche l’empatia, quindi il riuscire a mettersi nei panni dell’altro. Uscire dai compiti quotidiani anche se per poco, ci mette in contatto con noi stessi, ma con quella parte di noi che riesce a riconoscersi tale solo perché in relazione ad un tu, cosa che accade raramente quando l’affanno della vita quotidiana ci fa soffocare.

La distrazione risulta essere fondamentale anche e soprattutto per la creatività, ed è questo il punto centrale del presente articolo. Il neuroscienziato Corballis sostiene infatti che grazie alla distrazione, alla noia, la fantasia riesce a manifestarsi e a portare con sé la creatività. Il poeta Joseph Brodsky definisce, in particolare la noia, in questi termini:

«La noia è, per così dire, la nostra finestra sul tempo, su quelle proprietà del tempo che siamo inclini a ignorare […]. Una volta che questa finestra si è aperta, non cercate di richiuderla; anzi, spalancatela

L'arte di Bruno Munari a Cittadella, un ponte tra creatività e fruibilitàPrendendo in prestito questa figura e utilizzandola per la distrazione, significa che abbiamo il compito di spalancare la porta alla distrazione quindi aprire le porte alla creatività. Grazie alla distrazione ci è possibile scoprire nuovi mondi, o conoscere com’è davvero quello in cui viviamo. Contrariamente a quanto fin da piccoli siamo portati a pensare, la distrazione non è un momento negativo. Ricordando sempre che si parla di giusto mezzo, siamo abituati a sentirci richiamati all’attenzione quando, per un piccolo e apparentemente insignificante istante, siamo immersi nella distrazione. Siamo così cresciuti con e nell’idea che viaggiare con la mente, seppur per pochi istanti, potesse arrecarci danno. È però il contrario, anzi, sembra proprio far parte della fisiologia cerebrale alternare stati di attenzione e distrazione.

Ciò che succede oggi però porta sempre meno tempo alla distrazione, ed ecco che quindi ci troviamo sempre più spesso, in una giornata piena di impegni, a sentire come se non avessimo il controllo sulla nostra mente che in alcuni momenti ci abbandona per viaggiare leggera e per creare. Riportando direttamente le parole della scrittrice Elena Stancanelli, nell’articolo L’elogio della distrazione, leggiamo:

«L’arte non esisterebbe senza i sognatori a occhi aperti, né esisterebbero la scienza, la filosofia. Non esisterebbe il pensiero, senza la possibilità di una sintassi del pensiero, i cui salti e inciampi sono quei buchi appunto, quei silenzi

Per quanto ci ostiniamo ad essere produttivi, presenti al momento e performanti, siamo fatti anche per perdere tempo e nel perderlo, guadagnarlo. Per quanto l’arte, in ogni sua forma, può non considerarsi un fare nel senso utilitaristico e materialistico del termine, rimane comunque ciò che ci fa sentire vivi, e la nostra mente, la parte più recondita di noi, lo sa, per questo troverà sempre il modo di viaggiare leggera, anche solo per pochi istanti.

Vanessa Romani per ArtSpecialDay 

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