«Ho fatto la Cam Girl e vi spiego perché mi sono anche divertita»

«Ho fatto la Cam Girl e vi spiego perché mi sono anche divertita»

Cam Girl: lavoro, sollazzo o necessità? «Tutto questo o anche niente. Fare la Cam Girl può diventare una professione, che afferisce al mondo del porno, e una può farlo per scelta, per divertimento o anche per necessità, perché ha bisogno di portare il pane a casa. Certo, è una realtà che espone al facile giudizio, ma quando mi ci sono avvicinata l’ho necessariamente accantonato».

A parlare è Grazia Scanavini, 48 anni, di Ferrara, una terra schietta e verace, come lei. La raggiungo al telefono in un afoso pomeriggio di luglio, scoprendo solo dopo di essere a pochi chilometri di distanza per un fortuito gioco del destino. Grazia è una collega giornalista: educatrice di formazione, negli anni ha indagato con numerose ricerche nell’ambito delle relazioni interpersonali e sessuali.

Una di queste l’ha portata a fare un’inchiesta nel mondo della prostituzione virtuale, vestendo i panni della Cam Girl, provando sulla sua pelle cosa possa significare farlo. Ha trasmesso dal 2014 al 2016 su Cam4, un sito di chat e video live, attivo 24 ore su 24, che non richiede registrazione e pagamento di fee all’ingresso.

«Ho deciso di farlo dopo che un’amica giornalista mi commissionò una recensione dello spettacolo Porno mondo”, in scena a Roma al Teatro dell’Orologio: in pratica lo show cui dovevamo assistere era una diretta live di una Cam Girl con un uomo, ignaro di essere visto da una platea, che si era collegato mentre la moglie era fuori col cane. La cosa mi incuriosì al punto che chiesi su che sito trasmetteva e cominciai ad assistere a qualche diretta per capire come funzionasse».

E poi? «E poi decisi di intraprendere la “carriera” di Cam Girl per indagare il fenomeno: mi chiedevo perché le persone volessero pagare una ragazza per vedere del sesso, quando esistono siti in cui vedere del porno gratuitamente. Qualche risposta arrivò, ma mi si aprì anche un mondo».

Un mondo che racconta nel suo ultimo libro Ho fatto la Cam Girl, edito da Edizioni Effetto: una fotografia dei “dietro le cam”, dei motivi economici che spingono (o costringono) a fare questa scelta, del circolo vizioso legato all’autostima ritrovata. Ma anche delle molte perplessità sulla mancata consapevolezza dei rischi e delle possibili conseguenze.

«Erano 5 anni che non trasmettevo più e avevo accantonato il materiale raccolto. Il lockdown dovuto alla pandemia mi ha costretto a riprenderlo in mano: solo nell’ultimo anno mi sono arrivate quasi 500 richieste di informazioni da parte di donne che volevano sapere tutto su come cominciare questa professione. E così è nato il libro».

La motivazione è presto spiegata: i dati Istat del 2020 hanno svelato che la maggior parte degli italiani che hanno perso il lavoro durante la pandemia erano donne: nel solo mese di dicembre 2020, c’è stato un calo complessivo di 101 mila occupati, di cui 99 mila donne. Molte di queste hanno continuato a “guadagnare, lavorando da casa”: un’ulteriore riprova lo sono anche i moltissimi articoli apparsi sul web proprio nei mesi di lockdown, comprese anche esplicite guide come quella riportata su Wikihow che insegna come diventare una Cam Girl.

«Le domande più frequenti? “Ma come si comincia? Devo essere bella? Chi c’è dietro? Cosa rischio? Posso smettere quando voglio?”. Ho cercato di rispondere per quella che è la mia esperienza».

E dicci, come è stato all’inizio? «La primissima volta che mi collegai, uscii subito. L’imbarazzo era totale. Ma soprattutto non comprendevo come fosse possibile che qualcuno volesse vedere me, con un corpo che potremmo definire non conforme – sono 180 cm di donna, con la sesta di reggiseno e non proprio fresca -, mentre invece le room dove si esibivano ragazze belle come dee fossero vuote. Poi ho capito: man mano mi sono costruita un personaggio, ho cominciato a capire come interagire col mio pubblico e mi sono sciolta».

Merito della sesta di reggiseno? «No, è molto riduttivo pensare che le persone si colleghino solo per l’aspetto fisico, anche perché io quando trasmettevo non mostravo mai più di un particolare alla volta: o solo il viso, ma solo dal naso in giù, o un seno alla volta, o la vulva, quando mi masturbavo. Ma il tempo dedicato all’atto sessuale era poco: su mezz’ora, forse erano solo cinque i minuti in cui inquadravo le mie parti sessuali. Il resto erano giochi di seduzione, sfide».
Per esempio? «Si chiacchierava molto. Gli uomini – perché la maggior parte sono maschi – cercavano compagnia anche e soprattutto intellettuale, qualcuno che li stuzzicasse. Per esempio, a volte fingevo di essere in ufficio, piazzavo la cam sotto il tavolo e con mio marito fingevamo di essere capo e segretaria, ma senza passare all’azione, solo “recitando”. Li sfidavo: “Dai, se mi pagate tot token (l’unità di misura corrente su questi siti di trasmissione, ndr), mi masturbo con l’evidenziatore. Loro pagavano, ma poi magari non facevo nulla di quanto promesso. Oppure un’altra volta, io e mio marito fingemmo che lui fosse il mio taxista e il mio pubblico mi pagava per fargli le avance (ovviamente senza sapere che lui fosse il mio coniuge)».

Tuo marito non solo era al corrente, ma anche complice, quindi…«Sì, glielo dissi subito. E anche mio figlio, che allora aveva 9 anni, era stato informato con le dovute maniere dei fatti. Ma siamo stati sempre molto aperti con lui, spiegandogli tranquillamente come il sesso facesse parte della vita di ciascuno di noi: figurati che in terza elementare la maestra gli chiese di fare un tema su un emiliano illustre e lui venne a chiedermi se Franco, con cui collaboravo ai tempi per alcune cose inerenti al lavoro, fosse emiliano. Franco era Franco Trentalance, professione pornoattore».

Mai avuto un attimo di sconforto, qualche paura? «Ho pianto, altroché. Quando un utente, entrando in room, si permise di insultarmi, dandomi della troia, spensi tutto improvvisamente e piansi. Poi pian piano imparai a gestire il contatto col pubblico e quando ricapitò, seppi irridere il cafone di turno, girando la situazione a mio favore. Ma si sa che a far male è il giudizio degli altri, soprattutto se non siamo sicure di noi stesse e di quello che stiamo facendo».

E tu eri sicura di te? «Mai stata sicura di me: da giovane ero un donnone appunto, una sorta di Ferrari da esibire, bella da vestita, non bene da nuda. Ho avuto sempre un rapporto strano col mio corpo: quando volevo distogliere l’attenzione da me, o non mangiavo fino a scomparire – sono stata anche anoressica da adolescente – o ingrassavo.

Fare la Cam Girl mi ha insegnato che l’erotismo e la seduzione non hanno nulla a che fare con gli stereotipi che ci propinano sin da piccole: non tira la vulva perfettamente depilata o la ragazza con il seno rifatto, ma chi ha qualcosa da raccontare, da dare e non solo fisicamente. Non hai idea di quanto siano apprezzate le Cam Girl con disabilità…».

Mai avuta una sbandata o un’attrazione particolare con qualcuno al di là della camera? «Con qualcuno si è creato di sicuro un bel feeling, alcuni sono “sbarcati” anche su Facebook o nella mia vita reale, ma con nessuno c’è stato nulla di più di quello che si era creato online».

Esiste qualche vantaggio nel fare questa professione? «Il primo è il guadagno immediato: ognuna decide il prezzo della sua “mercanzia” e i soldi arrivano subito entro tre giorni. Le cifre? Dipende, ma ti dico che a volte quando uscivo con le mie amiche, le obbligavo a mettere i tacchi. Poi piazzavo la cam sotto al tavolo, senza farmi vedere dal personale del locale e il mio pubblico si eccitava a vedere delle caviglie su stiletto e ci pagavano per fare le svenevoli con i camerieri. Morale: riuscivamo a fare anche 350 euro in due ore, ci pagavamo la cena.

Incredibile è anche il mercato della biancheria usata: un uomo mi ha chiesto di spedirgli delle mie mutandine a New York per 45 dollari, al netto delle spese di spedizione. L’altro vantaggio è appunto quello del Capitale Erotico ritrovato, del capire di essere seducenti oltre l’aspetto fisico. Ma riconosco che io non lo facevo per necessità. Diverso è di certo il caso di chi è costretta a farlo per pagare le bollette».

Se il sommerso economico dell’attività delle Cam Girl conta cifre da sballo, quindi, le attività annesse non sono da meno… «Tolta la possibilità di fissare incontri a pagamento a parte, c’è chi attraverso quei canali ha conosciuto persone che poi hanno offerto loro un lavoro “serio”. C’è chi ha creato un vero e proprio business sulla vendita della biancheria usata, appunto… Avreste mai pensato che ci fossero uomini disposti a pagare una cinquantina di euro per un paio di slip, spediti a domicilio? O persone che cercano la dominazione economica, che voi spendiate i loro soldi?

Complice il lockdown e la crisi economica che ne è scaturita, moltissime donne fanno cam di nascosto. Molte escort sono passate al virtuale, ma stanno nascendo migliaia di profili Instagram in cui ragazze e donne si propongono pubblicamente come Cam Girl di professione. Apertamente, senza nulla da nascondere. Profili che sono seguiti da milioni di follower. Che si stia andando verso una normalizzazione della professione?».

Esistono delle conseguenze, immagino… «Il peso psicologico da sostenere non è poco: comunque ci si interfaccia con altra umanità, con le loro insicurezze, le loro fragilità, che vanno a incidere sulle tue. Poi se non lo si fa per diletto, può subentrare anche la sensazione di stare svendendosi, di fare qualcosa di sporco. Insomma, la questione dei fenomeni sessuali ha sempre necessità di essere trattata chirurgicamente, proprio per la complessità di quanto si celi dietro a ciò che umanamente siamo, a fronte di ciò che la società ci chiede di essere. O ci impone, di essere.

Il mio libro vuole essere una guida alla consapevolezza riguardo a ciò che succede in quell’ambito, quindi ai benefici che se ne possono trarre e alle conseguenze che ne possono conseguire. Il punto è sempre e solo uno: se si può, occorre decidere liberamente e fare una scelta consapevole. Come per tutto, nella vita».

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