L’amore è la più alta forma di libertà, ci insegnano Sartre e de Beauvoir

L’amore è la più alta forma di libertà, ci insegnano Sartre e de Beauvoir

A sud di Parigi, nel cimitero di Montparnasse, capita di provare una sensazione di stupore e incredulità di fronte alla tomba di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir: semplice e anonima, accoglie i corpi di due dei più importanti intellettuali del Novecento, coraggiosi combattenti per una civiltà più libera, infaticabili amanti uniti da un legame viscerale e straordinario. Su quella lapide, modesta ed essenziale, sono proprio i biglietti della metro lasciati dai visitatori come traccia del loro passaggio a renderci consapevoli dell’importanza di quel luogo, un piccolo scrigno che racchiude due menti impareggiabili, che di semplice e di ordinario hanno ben poco. Insieme per cinquantuno anni, fin dall’inizio della loro relazione era prevedibile che Sartre e de Beauvoir sarebbero diventati il simbolo di un amore libero e incondizionato, più profondo di ciò che la società si aspettava da una coppia di filosofi parigini, bizzarri e stravaganti. Un vero sodalizio intellettuale tra il padre dell’esistenzialismo e la madre del movimento femminista.

Figli della borghesia parigina di inizio secolo, di gran lunga i migliori studenti di filosofia della Sorbona, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir si incontrano per la prima volta durante un seminario nel 1929. A unirsi intimamente da questo momento non sono solo le loro vite, ma anche il loro pensiero filosofico, che si sviluppa e si alimenta attraverso un continuo dibattito intellettuale e un incessante scambio di idee. Fin dall’inizio, entrambi condividono una profonda vocazione per la scrittura e l’impegno politico: nelle opere di ognuno si riconosce e si riversa il pensiero dell’altro, il quale poggia in primis sulla necessità di riformare l’intero sistema sociale, concepito come immobile, granitico e colpevole di privare l’essere umano di ciò che di più caro possiede, la libertà. Non volendo diventare complici di questo sistema borghese, perbenista e ipocrita, i due filosofi rifiutano il matrimonio e tutto ciò che esso comporta: una casa, dei figli, numerosi doveri coniugali e una lunga sfilza di menzogne e tradimenti utile a tener fede a quel sacro vincolo pronunciato davanti a Dio. Ciò che stipulano i due, invece, è un contratto a scadenza biennale, che stabilisce un tipo di rapporto privo di vincoli pur mantenendo alla base una certa fedeltà reciproca. Ciò si traduce in una completa libertà di amarsi e, contemporaneamente, di vivere altre esperienze, con l’unica clausola di essere sinceri l’uno con l’altra. Questo patto rompe ogni norma socialmente accettata e in esso i due filosofi non fanno nient’altro che mettere in atto la loro stessa filosofia. 

Muovendo dal pensiero di Heidegger, Sartre comprende come l’essere umano, una volta gettato nel mondo con la sua nascita, sia condannato dalla sua stessa libertà, perché costretto a essere responsabile di tutto ciò che fa. Di conseguenza, l’esistenza dell’individuo precede la sua essenza: ognuno di noi è definito non dalla propria natura, ma dal suo pensiero che si trasforma sempre in azione. La responsabilità individuale, oltre che essere la dimostrazione della libertà che caratterizza la condizione umana, è allo stesso tempo un fardello da portare per tutta la vita, che si manifesta in ogni momento in cui si è chiamati a prendere una decisione: scegliere è concepito come un processo privato e sociale insieme. Il legame che porta i filosofi a unirsi è l’unico mezzo per esprimere la propria libertà di scelta, la cui responsabilità non si basa su una morale posta all’infuori di sé – borghese o cristiana che sia – ma fa fede soltanto a se stessi. 

A 19 anni, Simone de Beauvoir nel suo diario scrive: “Non voglio in vita mia obbedire a nessun altro che a me stessa”. Di lì a poco diventerà la principale esponente del femminismo contemporaneo. Condividendo la corrente esistenzialista del compagno, il concetto di libertà e autodeterminazione per la filosofa deve essere necessariamente posto alla base dell’emancipazione femminile. Il secondo sesso è una delle sue opere più importanti perché offre un’analisi dettagliata della condizione della donna, vista dalla prospettiva maschile. La denuncia della disparità di genere, della dipendenza e dell’inferiorità delle donne nei confronti del potere maschile è esaminata in modo irriverente e provocatorio. In questo modo, de Beauvoir sfida la società contemporanea a liberarsi di una condizione non poi così lontana dal vassallaggio medievale, auspicando una piena indipendenza di entrambi i sessi attraverso il lavoro, la stabilità economica e il diritto inalienabile all’autodeterminazione. Il contratto stipulato con Sartre, che permette loro di non cedere alla morsa della normale consuetudine sociale, se da un lato provoca sgomento tra i paladini del perbenismo, dall’altro attrae tutta l’ammirazione di una società che dopo la seconda guerra mondiale avverte la necessità di un cambiamento epocale. I due diventano un modello da imitare, il simbolo di un’epoca e il manifesto degli ideali che la sorreggono. 

Le loro giornate trascorrono tra scrittura, dibattiti, mozziconi di sigaretta e bicchieri di cognac al Café de Flore nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés. È qui che danno vita a opere come L’invitata di de Beauvoir e Essere e nulla, opera summa dell’esistenzialismo ateo di Sartre. Il caffè letterario si impone come il luogo perfetto per sviluppare non solo la loro filosofia, ma anche una vera e propria moda, espressa in un generale atteggiamento di ribelle eleganza. Molte sono le relazioni che i due intrattengono durante la loro vita insieme: alcune mettono in crisi il contratto e altre lo rafforzano, ma il fatto che entrambi ritornino continuamente a scegliersi al di fuori di vincoli sociali o morali è emblematico. 

All’indomani di una guerra che ha lasciato il mondo attonito e traumatizzato, i due si sentono quasi in dovere di cambiarlo, migliorarlo e renderlo il più umano possibile. Sebbene il loro orientamento politico cambi nel corso degli anni, entrambi rimangono fedeli alla sinistra rivoluzionaria e insieme ad altri intellettuali fondano la rivista Les Temps Modernes – chiusa appena pochi mesi fa dopo 73 anni. Attraverso le loro battaglie combattute con le armi del pensiero e della scrittura, dal 1956 i due si fanno portavoce del movimento indipendentista algerino, guadagnandosi l’odio dei nazionalisti francesi, ma anche il sostegno dei combattenti per la liberazione della colonia. Sono gli anni degli ultimi rantoli della  logica imperialista che ha governato il mondo per secoli e, sebbene presentata all’opinione pubblica come un’estensione della Francia, i filosofi si dedicano a denunciare i soprusi subiti dall’Algeria, le pulizie etniche e le torture commesse dallo Stato europeo, svelando così la vera faccia del colonialismo: un regime militare, razzista e in cerca di manodopera da sfruttare. 

Invitata a L’Avana insieme a un gruppo di intellettuali di sinistra, la coppia ha la possibilità di conoscere e dialogare con Che Guevara e Fidel Castro, offrendo pieno appoggio alla resistenza cubana in lotta contro l’imperialismo  statunitense. In questo viaggio, definito dal filosofo come “La luna di miele della rivoluzione”, l’incontro con i due guerriglieri segna in maniera definitiva la volontà dei due filosofi di schierarsi dalla parte della ribellione popolare. Quando il Che morirà in Bolivia, Sartre dirà che è stato “non solo un intellettuale, ma anche il più completo essere umano della sua epoca”. Dopo la repressione della rivoluzione ungherese da parte dell’esercito sovietico, però, la simpatia verso i regimi di stampo socialista muta: contro ogni abuso di potere, inteso come l’annullamento della natura umana, i due prendono le distanze sia dall’Urss, condannando gli eventi ungheresi e criticando la degenerazione della rivoluzione leninista, sia disapprovando la guerra in Vietnam, simbolo dell’imperialismo nordamericano e frutto del capitalismo monopolistico. 

Durante il maggio francese, i due filosofi sono in prima linea per sostenere la rivolta studentesca, la rivendicazione dei diritti dei lavoratori, l’abbattimento dei regimi totalitari e l’affermazione di una forte coscienza femminile. Quando in Francia l’aborto è ancora considerato un reato punibile dai 3 mesi ai 6 anni di reclusione, Simone de Beauvoir crea il Manifeste des 343 salopes (Manifesto delle 343 puttane): oltre alla libertà di praticare l’aborto, ciò che il Manifesto esige è la possibilità per la donna di prendere in autonomia  le decisioni che riguardano il proprio corpo, la propria vita e il proprio futuro, liberandosi dalle ingiuste costrizioni della morale religiosa e borghese in cui il mondo occidentale si riconosce sempre meno. La strenua lotta per i diritti li porta anche al di fuori dei confini nazionali. Quando nel 1979 l’ayatollah Khomeini instaura la Repubblica Islamica dell’Iran, Sartre e de Beauvoir volano a Teheran per difendere lo stato di diritto in quella che sembra a tutti gli effetti una teocrazia militare sciita. Come presidente del Comitato internazionale dei diritti della donna, de Beauvoir si espone in prima persona contro l’imposizione del velo e la generale subordinazione della donna nella vita pubblica e privata. Ma il potere, alimentato dal denaro e dall’integralismo religioso, vince anche sulla più pura delle ideologie e il rischio della dittatura previsto dagli intellettuali di lì a poco sarà sotto gli occhi di tutti. 

Nella fotografia che ritrae Simone de Beauvoir intenta a lasciare una rosa sulla tomba di Sartre durante i suoi funerali nel 1980, il dolore della donna parla ancora attraverso l’immagine. Dopo una vita straordinaria insieme, fuori da ogni schema e felice anche tra tutte le complicazioni che un’unione così inconsueta comporta, la donna dirà che la sua relazione è stata la più grande realizzazione di tutta la sua vita.

Simone de Beauvoir al funerale di Jean-Paul Sartre

Un pensiero che non né distrugge le battaglie femministe, né indebolisce il suo attaccamento nei confronti dell’indipendenza fisica e intellettuale dell’individuo. È piuttosto un ultimo grande ringraziamento nei confronti di chi le ha permesso di mettere in atto, senza vacillare, le proprie idee e vivere l’amore come la più alta forma di libertà. Pur consapevoli che non si sarebbero mai incontrati dopo la loro morte – a discapito di ogni romanticismo metafisico – i due sembrano ancora discutere di filosofia nel silenzio del cimitero di Montparnasse, dopo aver cercato di cambiare il mondo insieme, senza che il mondo cambiasse loro.

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