Chissà quanti, in questi giorni, avranno ripensato ai celebri scatti di Robert Capa; in questo clima sconvolgente e solo apparentemente surreale, provocato dal conflitto in Ucraina. Il fotografo ungherese, cresciuto all’inizio del Novecento, è considerato il più celebre fotografo di guerra, avendo documentato ben cinque diversi conflitti: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d’Indocina (1954). Riuscendo a modificare sostanzialmente il ruolo del fotoreporter, rendendo l’intera cittadinanza testimone di conflitti, drammi ed avvenimenti storici. Non è dunque un caso se molte delle sue fotografie sono oggi patrimonio universale della nostra memoria. Merito del suo agire, carico di passione ed entusiasmo, nonché al limite del temerario, che lo ha reso una delle personalità più note e rilevanti della fotografia del secolo scorso.
Ma il lavoro di Capa non si limitò solo esclusivamente a testimoniare eventi drammatici, spaziando anche in altre dimensioni non riconducibili alla sofferenza umana. Ed è proprio da questa considerazione che ha preso vita l’interessante progetto espositivo di Abano Terme, ospitato dalla splendida Vila Bassi Rathgeb, che raccoglie sue fotografie ancora poco conosciute e non riconducibili alle vicende belliche. Una mostra, come dichiara il titolo stesso, “Robert Capa. Fotografie oltre la guerra”, che permette di scoprire la sua fotografia lontano dalla guerra e comprendere meglio quello che ripeteva continuamente: “Ama la gente e faglielo capire”. Ma soprattutto: “Se le vostre foto non sono sufficientemente buone, vuol dire che non siete andati abbastanza vicino”.
Robert Capa
Capa, invece, è sempre andato decisamente vicino ai fatti, alla storia e ai suoi protagonisti. Come in quel viaggio a Copenaghen, nell’autunno 1932, quando è assistente alla camera oscura presso l’agenzia fotografica berlinese Dephot (Deutscher Photodienst) e il direttore, Simon Guttman, lo manda nella capitale danese per fotografare una conferenza di Lev Trotckij sul tema “Significato della Rivoluzione russa”, dinanzi ad un gruppo di studenti danesi. L’evento è estremamente significativo perché da oltre tre anni, dopo la sua espulsione dall’Unione Sovietica, Trotckij era stato confinato su un’isola al largo delle coste turche, impossibilitato a procurarsi un visto per gli Stati Uniti d’America o qualunque altro stato europeo. Capa, la sera del 27 novembre 1932, testimonia l’evento, con la sua piccola Leica da 35 mm e realizza una serie d’immagini evocative che colgono il pathos di quegli attimi. La pubblicazione a tutta pagina delle fotografie in “Der Welt-Spiegel”, supplemento del quotidiano “Berliner Tageblatt”, fu un debutto di rilievo per il giovane fotografo, come la mostra documenta con precisione. Per un debutto coi fiocchi che apre la strada a una carriera di successo.
Nel percorso di Capa ci sono anche tanti altri eventi, di vario genere. Come il Tour de France del ’39, quando il Secondo Conflitto Mondiale è ormai alle porte, e solo settantanove partecipanti si sfidano dui circa 4mila chilometri di percorso, a causa di varie esclusioni per motivi politici. E lui era lì: già incoronato come miglior fotografo internazionale di guerra, e ora alle prese con un reportage sportivo, per la rivista “Match”, che la sua mano e il suo obiettivo riescono a rendere un evento storico più che una competizione agonistica. Sfidando anche ogni convenzione e utilizzando, a differenza della prassi dell’epoca, una piccola fotocamera Contax da 35mm, che gli permise di realizzare un maggior numero di fotografie, nonché di essere più rapido e flessibile. Con questa apparecchiatura fotografica poté salire su una motocicletta e seguire così aspetti della corsa che prima di allora non si erano mai potuti vedere. Il suo sguardo andò oltre la competizione e s’indirizzò prevalentemente verso lo scenario umano che ruotava attorno alla gara. Questo aspetto rende le sue fotografie ancora attuali ed empatiche, fedeli testimonianze di emozioni universali abilmente catturate dal fotografo. Un passaggio toccante anche nella mostra, che grazie a un impeccabile allestimento, riesce ad esaltare al meglio i diversi momenti storici e artistici vissuti dal fotografo.
Nice. August 1949. Henri Matisse in his studio, dalla mostra “Retrospective – Fotografie oltre la guerra” di Robert Capa
Come quello in Russia, accanto allo scrittore e amico John Steinbeck, che gli propone un viaggio per documentare il cambiamento del paese rispetto agli anni precedenti. Ottenendo – grazie a lui – un visto non facile da avere in quel momento: peggio di ora, quando i romanzi erano ufficialmente accettati dal governo russo perché conformi al Realismo Socialista. Con Steinbeck trascorre un mese in Unione Sovietica nell’estate del 1947 visitando Mosca, Stalingrado, la Georgia e l’Ucraina. Da questa esperienza verrà pubblicato, nel 1948, il resoconto di viaggio intitolato “Diario Russo”, e nessuno meglio di Steinbeck può descrivere il lavoro del fotografo: “Le sue foto non sono incidenti. L’emozione che contengono non arriva per caso. Capa era in grado di fotografare il movimento, l’allegria e lo sconforto. Era in grado di fotografare il pensiero. Le sue foto catturano un intero mondo, quel mondo di Capa”. Non è però l’unico viaggio “politico” condotto e documentato da Capa che nel ’48 è anche a Tel Aviv per la fondazione ufficiale dello Stato di Israele. Documentando gli scontri tra israeliani e arabi, oggi patrimonio della mostra e non solo della collettività.
Robert Capa, Fotografie oltre la guerra – Villa Bassi Rathgeb
Ma ad Abano c’è anche la versione spensierata di Capa. Quelle delle amicizie dentro e fuori dai set cinematografici, anche grazie all’amore per la celebre Ingrid Bergman, divenuto poi sua moglie.
Capa vive attorniato da amici, molti dei quali attori, artisti e scrittori, inevitabilmente fotografati e proposti in vari ritratti nella mostra: da Ernest Hemingway a Irwin Shaw, al giornalista Art Buchwald, allo sceneggiatore Peter Viertel, ai registi John Huston, Anatole Litvak, e passando per Pablo Picasso e Françoise Gilot. Oltre naturalmente a Steinbeck, la stessa Bergman e tanti altri. Tutti resi nella loro individualità, umanità, profondità. Perché Capa sapeva veramente andare vicino ai suoi soggetti. A volta anche troppo. Come in quell’ultimo viaggio, in Indocina, ancora una volta inviato di guerra, quando la sua intraprendenza gli costa la vita, ancora giovanissimo, morendo sul campo a causa di una mina antiuomo. E anche gli ultimi scatti ed istanti della sua vita, sono oggi patrimonio della storia e della cultura internazionale, riportati alla luce e resi visibili nel nostro paese dalla mostra padovana, che vale la pena visitare. Oggi più che mai.
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