Non hai tutti i torti Johnny, ci avevo già pensato anch’io, e forse è proprio così! Più vado lontano e più collasso nei ricordi, nelle radici, nel mio passato più vivo e ripercorro i miei passi, quelli impolverati, quasi del tutto erosi dal tempo e dal sale che li ha ricoperti per troppi anni. Tutto appare esigenza, vitale, indispensabile per la mente e per un corpo cambiato dai climi che ho incontrato ed a cui ho esposto la mia pelle, la stessa abituata al Sole delle mattine qui al sud.
Le ombre, oggi, mi sembrano un meraviglioso incantesimo ed il mare, ancora più di prima, cattura desideri e speranze e le ruba, astuto e lesto, portandole via lontano, lontanissimo, che quasi non ricordo cosa avessi nella tasca dei sogni. Rivivo la mia Terra con vibrazioni diverse, in costante analisi, alieno di un pianeta che fu mio per l’intera giovinezza, da cui nasco ed il cui risultato io sono, meravigliandomi di come possa essere accaduto tutto ciò, anche con un pizzico di compiacimento (lo ammetto). Non è disagio il mio anzi, mi diverte osservare quanto accade e come manichini di plastica e carne orbitano nelle notti mosse delle luci di auto, negozi, bicchieri e scintillanti strass.
Ricompongo il puzzle della mia vita, attribuendo ad essa quella che fu, la più lontana e vera, il seme di me stesso a cui devo (imprecare) per ciò che sono oggi e che probabilmente sarò domani. Rimetto in ordine gli anelli della catena arruginita a cui ancoravo la mia barca prima di salpare di giorno in giorno verso mete lontane e sconosciute che dipingevano colori diversi, mai visti, nelle mie pupille. Tavolozze arabeggianti di spezie e pelli scure, enormi grattacieli di un bianco asettico, graffiti innevati bidimensionali, il grigio della nebbia, il colore del gelo profondo che iberna i sorrisi diventano normalità e si alternano tra le latitudini.
Ed è così che nasce poi il desiderio di riscoprire cosa possa essere la normalità di un luogo che ancora mi ostino a chiamare casa, per avere almeno una certezza, anch’essa smarrita. Allora tento di ritrovarla nel mio passato, aggrappandomi a chi non rivedevi da tempo, troppo tempo, anch’egli mutato nel volto e nei colori, vittima come tutti del tempo che ha travolto e ridipinto le tele che avevi lasciato incustodite. Speleologo del più profondo passato tento di ripescare i profumi del mio essere, con affanno e con gli stessi sorrisi che addobbavano le serate inutili sotto le visibili stelle ed i panorami mozzafiato che reputavo normali, quasi dovuti come contropartita al nulla già allora tangibile che ne restava, gli stessi panorami che non hai mai più rivisto altrove. Scavando, scovando in quella cantina impolverata piena di ricordi e personaggi perduti capisci poi che per te, come per tutti, il mondo non ti ha aspettato, ha fatto il suo corso ed il tempo si è divertito a mischiare le carte e a lanciare i dadi ricomponendo quello che era il tuo mondo ed in quella partita sei ancora tu che giochi, è il tuo turno, e ne approfitti in ogni istante per fare 13 con i soli due dadi che ti sono rimasti in tasca.