COME STAI?

COME STAI?

Il colore dedrammatizza… il bianco e nero è più carico di sensi.

— Jean Baudrillard

Riprendendo l’analisi sulle differenze tra ANALOGICO E DIGITALE proviamo a riconsiderare la domanda “Come stai?” ed immaginiamo di dover dare una risposta ponendoci rispettivamente nel campo Analogico e Digitale.

Analogicamente la nostra risposta potrebbe assumere le INFINITE SFUMATURE che vanno dal “catastroficamente malissimo” (ed anche peggio indefinitamente) al “meravigliosamente benissimo” (ed anche meglio indefinitamente!). Insomma: è REALMENTE impossibile immaginare quale potrebbe essere la risposta a tale domanda.

Digitalmente, invece, la nostra domanda potrebbe comportare SOLO un numero finito di risposte a seconda della sua “grandezza” consentita. La grandezza digitale si misura in Byte che, per definizione, è l’insieme di 8 bit. Da qui l’affermazione che il bit (binary digit) è la più piccola delle informazioni digitali la quale può assumere esclusivamente 2 valori: ZERO oppure UNO! Questi due valori, così come nel mondo reale, definiscono la base di qualsiasi concetto, domanda o risposta che sia. Ogni pensiero umano si può ricondurre ad un concetto compreso tra DUE estremi: bene e male, vero e falso, chiaro e scuro, bianco e nero, maschio e femmina, luce e buio, facile e difficile e via discorrendo fino al finito ed infinito. Nel caso della nostra domanda quindi, volendo occupare la grandezza di un singolo BIT le risposte possibili potrebbero essere solo 2, ad esempio BENISSIMO oppure MALISSIMO. Nessuna altra ipotesi o sfumatura di come ci si sente in quel momento potrebbe essere definibile!

Aumentando lo “spazio” digitale ovvero aumentando il numero di bit a disposizione per poter rispondere alla domanda si ottiene la possibilità di modellare con ulteriori sfumature, altrettanto binarie (cioè definite) le risposte possibili. Avendo a disposizione 2 bit, ad esempio, si ottiene la possibilità di poter definire 4 differenti risposte e non più 2 cioè tra benissimo e malissimo si potranno aggiungere BENE e MALE ottenendo così un ventaglio di risposte possibili, seppur definite, di 4: Benissimo, bene, male e Malissimo.

Aumentando ulteriormente lo “spazio” digitale con un terzo bit le risposte possibili arriverebbero ad 8, con un quarto bit si arriverebbe a 16 possibili “combinazioni” e via via aumentando su potenze di 2. Si stima che un vocabolario completo di italiano sia composto, oggi, da circa 427000 termini. Sebbene del tutto improprio ed inconsistente, se volessimo associare ad ogni termine del vocabolario una plausibile risposta alla domanda “COME STAI?” bisognerebbe avere a disposizione 19 bit! La domanda da porci (non animali ma verbo!) è la seguente: nella vita reale, ad una domanda del tipo “Come stai?”, QUANTE risposte sarebbero plausibilmente riscontrabili ed attuabili? Quella quantità, seppure riduttiva, rappresenta la “necessità” di valore del dato che, per quanto possa essere analogico o digitale nella sua natura, risulterebbe “inutile” oltre tale soglia. Ritornando per un attimo ai 427mila termini del dizionario: quanti di questi non saranno mai né letti né utilizzati dalla maggioranza degli esseri umani?

Ritornando con i piedi per terra consideriamo ora la discriminazione dei due diversi segnali. Un segnale analogico va elaborato come tale con strumenti capaci di gestirlo ed il tutto ad un costo decisamente superiore all’analogo (pessimo gioco di parole) digitale. L’interruttore delle luci di casa, ad esempio, gestisce un segnale di natura analogica (la fornitura di energia elettrica) in modo del tutto digitale ed il risultato di cui beneficiamo è altrettanto digitale: con l’interruttore su ON la luce è ACCESA e nella stanza ci sarà LUCE, con l’interruttore su OFF la luce è spenta e nella stanza ci sarà BUIO. Evidentemente questo sistema è funzionale alle nostre esigenze e quindi il digitale, economico, ci va bene! La luce che irradierà la stanza avrà una sua intensità, anche variabile in funzione di quanta “energia” il fornitore ci starà dando in quel momento ma a noi poco interessa: vogliamo semplicemente luce!

Nel caso in cui, invece, volessimo avere gradienti di luce, luci soffuse o luci accecanti a seconda di cosa stiamo facendo in camera, allora ci sarebbe bisogno di apparecchiature analogiche capaci di “gestire” l’energia a disposizione per modificare l’emissione della luminosità offerta dalla lampadina. Ammettendo che la stessa lampadina possa farlo (non sempre è così!) avremmo bisogno di un “interruttore intelligente” e costoso capace di inviare alla lampadina più o meno energia.

Traslando l’esempio dalla lampadina della camera al rubinetto dell’acqua del lavello di casa lo scenario si capovolge: il rubinetto “gestisce” in maniera del tutto analogica il flusso d’acqua. Attraverso il rubinetto noi decidiamo quanta acqua lasciar uscire e con quanta intensità. Possiamo decidere di lasciarlo gocciolare o di farne sgorgare velocemente diversi litri a seconda dello scopo ultimo che vogliamo raggiungere.

Assistiamo oggi ad una demonizzazione del digitale, seppure ne siamo completamente immersi, a favore dell’analogico. I Compact Disc sono ormai un miraggio, soppiantati dai Vinile che, seppur onestamente più COOL, vengono stampati da registrazioni digitali nella migliore delle ipotesi a 32bit. Vale a dire che la stampa di un Vinile proviene dalla masterizzazione di files audio che, oggi, non supera “lo spazio” di 32 bit che è identica o leggermente superiore a quella di un (fino a poco tempo fa) comune Compact Disc con la differenza che un Vinile è soggetto ad usura decisamente maggiore, è più delicato ed è di base “rumoroso” dato il sistema di riproduzione a contatto. Inoltre, come per la lampadina della stanza, la strumentazione con la quale si riproduce un suono analogico deve essere all’altezza della natura del supporto stesso, pena l’abbattimento di frequenze sonore e quindi di perdita irreparabile di qualità. Le strumentazioni digitali, oggi, sono economiche e performanti e pertanto è possibile riprodurre musica digitale con strumenti digitali a basso costo con qualità decisamente superiori a quella ottenibile con la musica analogica a parità di costi.

La demonizzazione del digitale si fa più aspra nel campo della fotografia dove l’analogico è sinonimo di purezza, estetica e capacità! Proprio oggi, epoca in cui ognuno porta in tasca una macchina fotografica con potenzialità strabilianti, la fotografia analogica viene considerata l’apoteosi artistica della fotografia se non la “vera fotografia” quasi come se le fotografie digitali fossero una caricatura della pellicola. Riprendendo gli esempi elencati finora e ribadendo l’assoluta ed inconfutabile superiorità dell’analogico in termini di “infinità di sfumature possibili” resta da valutare quanto e come tale superiorità possa, oggi, essere realmente oggetto di discriminazione! La tonalità di un blu di un cielo primaverile sviluppato in analogico può realmente non essere contemplata nelle 256 possibilità del canale di blu di un sistema digitale RGB? E nella sua totalità una fotografia analogica può realmente contenere colori non presenti nei 16 777 216 colori della gamma RGB o negli oltre 2 miliardi di colori della gamma CMYK? Ed infine quanto ed a quale costo la combinazione di acidi di sviluppo, pigmenti, luci in camera e tipologia di carta può realmente definire la coerenza tra immagine stampata e realtà fotografata rispetto alla profilazione di monitor e stampante? Pur ribadendo l’inarrivabile definizione dell’analogico è ancora possibile, oggi, attribuire ad esso “il verbo” e la “superiorità” effettiva in un mondo in cui il digitale riesce a restituire “campi” che vanno ben oltre la sensibilità umana?

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