Giorgio Caproni, il poeta anti-intellettuale della quotidianità

Giorgio Caproni, il poeta anti-intellettuale della quotidianità
Giorgio Caproni

La città che diede i natali a Giorgio Caproni è Livorno: qui il poeta, traduttore ed insegnante nacque il 7 gennaio del 1912. La sua non fu un’infanzia semplice: le difficoltà economiche e l’assenza del padre chiamato alle armi nella Prima Guerra Mondiale rendono i primi anni di vita di Caproni pieni di amarezze. Anche per questo motivo, forse, in un primo tempo l’autore trova in Genova una nuova città natale al momento del suo trasferimento nel 1922, lontano da quella Livorno degli anni della guerra (città che riscoprirà in età avanzata). Qui cresce, collabora con riviste di critica letteraria e scrive le sue poesie che troveranno una più ampia diffusione dalla metà degli anni Quaranta e un consolidato successo nel decennio successivo. Proprio nel 1945 Caproni abbandona la sua Genova per trasferirsi a Roma per esercitare la sua professione di insegnante: qui un ambiente culturale animato da personalità quali Pratolini o Pasolini lo porta ad una produzione letteraria consistente. Città che inoltre vedrà anche la sua morte il 22 gennaio del 1990.

Caproni Giorgio – photo credit Dino Ignani –

La sua è una poesia che si caratterizza per chiarezza e concisione, un tratto che compare fin dai primi componimenti e che lo pone in forte opposizione rispetto all’intellettualismo che sembra trasparire dai versi dei poeti ermetici che monopolizzarono la scena letteraria e poetica a cavallo tra le due guerre. Un anti-intellettualismo che sembra essere nient’altro che la riscoperta della parola povera, «L’importante è risparmiare al massimo il rumore delle parole», come affermò egli stesso. La parola di Caproni è semplice, quasi elementare: nessun elitarismo lessicale o paroloni aulici, nessun utilizzo di particolari figure retoriche o tecniche poetiche ricercate, all’autore bastano rime semplici (anzi potremmo dire fatte, ai tratti stucchevoli) e un usuale uso del banale enjambement. La semplicità nella forma e nel contenuto, ma una semplicità che non esclude originalità formale rispetto al suo tempo e di profondità di un contenuto che sembra suggerire un sotteso filo di malinconia, derivante dai patemi personali (la morte prematura della fidanzata Olga Franzoni nel 1936) ed ironia, tipica per un autore totalmente disilluso che dà lontano osserva una realtà. Una disillusione che si denota prima di tutto dalla volontà di porre al centro della sua produzione il racconto della vita quotidiana. Si ricordino tra le varie opere la silloge Il passaggio d’Enea, Il seme del piangere (1959), Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1965), Il muro della terra (1975), Il franco cacciatore (1982) e Il conte di Kevenhüller (1986).

Caproni Giorgio
Proust, Il tempo ritrovato, traduzione a cura di Giorgio Caproni

La disillusione e l’asprezza divengono ancora più rilevanti nell’ultima fase della sua produzione poetica: dai drammi personali il focus delle opere si sposta sulla riflessione di temi etico-sociali che andavano a conquistare rilevanza nel dibattito pubblico di fine secolo. Un esempio di ciò è dato dal componimento Versicoli quasi ecologici (tratta dalla raccolta di poesie postuma Res Amissa del 1991) scelto come traccia di analisi del testo nella prima prova della maturità 2017. Qui vediamo un appello (o un grido di aiuto che si sa essere elevato nel vuoto) alla salvaguardia del creato incapace di comunicare la sua sofferenza, una natura bifronte rispetto alla relazione con l’uomo poiché questo ne è parte integrante («Non uccidete il mare, / la libellula, il vento. / Non soffocate il lamento / (il canto!) del lamantino. / Il galagone, il pino: / anche di questo è fatto / l’uomo…»), volendosi richiamare così ad un ecologismo consapevole, e carnefice allo stesso tempo, al punto di richiamare ad una scomparsa dell’uomo come via di salvezza per la natura («…Come / potrebbe tornare a essere bella, / scomparso l’uomo, la terra»), giungendo ad intravvedere in Giorgio Caproni un credo senza fede in un Dio.

Affiancata alla produzione letteraria è l’attività di traduttore: l’autore consente al pubblico italiano di conoscere grandi autori francesi di fine Ottocento quali Arthur Rimbaud, Louis-Ferdinand Céline, Marcel Proust. Probabilmente è questo lavoro per il quale Caproni è stato maggiormente apprezzato in vita da parte della critica letteraria, ma è un’attività che non deve e non può oscurare una produzione poetica che si è guadagnata il suo posto tra all’interno delle antologie moderne a fianco ad autori più blasonati come Saba e Montale, i grandi autori dai quali Caproni rimase folgorato.

Pierfrancesco De Felice per MIfaccidiCultura

-Photo Credit: La fotografia di copertina è di Dino Ignani-

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