Salma Okonkwo, la donna che dà energia all’Africa

Salma Okonkwo, la donna che dà energia all’Africa
Salma Okonkwo
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Salma Okonkwo
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Storie come quella di Salma Okonkwo danno una bella sferzata, una luce di speranza, della serie «Sì, è possibile». Visionaria, filantropa, è riuscita a scalare montagne di pregiudizi: non solo perché donna, ma anche perché nera, perché africana, perché idealista. Eppure, giorno dopo giorno, ha scavalcato tutte quelle barriere e, dopo essere stata la prima donna ceo di Sahara Energy e aver costruito la propria società energetica (la UBI Energy con oltre 150 milioni di dollari di fatturato annuale), oggi è intanta a costruire il più grande parco solare dell’Africa occidentale.

Nata ad Accra, in Ghana, Salma è cresciuta in una grande famiglia. Ma è lei a raccontarci come è partita e dove vuol arrivare.

Che cosa significa oggi nascere e crescere in Africa? Può parlarci di lei e della sua famiglia? Qual è stata la sua partenza?
«Crescere in Ghana non è dissimile dal crescere in molti altri posti, tra le mille faccende familiari e le aspettative adolescenziali. Nel caso specifico mi sono trovata con tanti fratelli: eravamo 14 bambini. Dico sempre che è in quel periodo che ho imparo la mia abilità professionale, a gestire le persone, a far rispettare principi morali ed etici fondamentali. Era necessario destreggiarsi nei complessi rapporti con i miei fratelli e con i miei genitori. Mia madre era un’agente immobiliare e mio padre era un commerciante di bestiame. Mio padre è stato per me un esempio di umiltà e  gentilezza e mia madre, che era una tipica laboriosa donna del clan Aka, non solo faceva funzionare la casa, ma è stata una pioniera nel suo ambito professionale. Ora è in pensione, ma continua a essere la donna che più lavora sodo che io abbia mai conosciuto. Pigrizia e fallimento non sono mai stati un’opzione per la mia famiglia: tutti noi eravamo chiamati a dare il nostro contributo. Io poi, come succede a molti ragazzini, ho iniziato a sognare di andare a fare viaggi all’estero. Alcuni miei fratelli erano andati a Los Angeles e così pure io sono andata là e mi sono iscritta alla Loyola Marymount University di Los Angeles. Se mi volto indietro, vedo quanto quel periodo sia stato arricchente, quanto sia stato costitutivo della persona che sono oggi. Anche se mi mancava la vita comunitaria del Ghana, ero in grado di navigare e prosperare nel natura più individualistica del mondo occidentale».

Quanto ha inciso l’aver viaggiato e aver conosciuto altre realtà per il raggiungimento del suo successo?
«Credo che viaggiare, ovunque si vada, sia sempre una buona idea. Allarga il tuo orizzonte mentale, le tue conoscenze e ti offre diverse prospettive. Viviamo in un mondo globale, quindi è un imperativo avere una prospettiva globale sulle questioni che riguardano le proprie attività di business».

Lei lavora da anni nel campo delle risorse energetiche: che cosa è cambiato ultimamente? Dove stiamo andando?
«Il combustibile fossile non è una risorsa sostenibile e il mondo oggi lo ha capito e gradualmente stiamo passando a fonti di energia più rispettose dell’ambiente che ci circonda. Noi ci stiamo impegnando, ma avremo bisogno bisogno del sostegno dei responsabili politici di tutto il mondo: è necessario un discorso d’nsieme, che chiami a raccolta le imprese e il mondo accademico, per mettere bene a fuoco le problematiche e le possibili modalità per affrontarle. L’onlus Carbon Brief ha sottolineato che che l’Africa, come altri continenti, fa ancora troppo affidamento su centrali elettriche che funzionano a carbone, cosa assurda per un Paese come il nostro che ha la fortuna di avere la luce di un bel sole tutto l’anno. Credo che per noi sia vantaggioso investire in questo nostro Paese, per l’economia certo, ma anche per ridurre l’inquinamento e contribuire a mitigare quel cambiamento climatico che rischia di metterci in ginocchio. Dobbiamo puntare a un futuro più green».

Sappiamo che lei è impegnata in progetti filantropici: che cosa fa? Qual è il progetto al quale lei dedica più tempo e passione?
«Sì, sono sempre stata attenta a far sì che potessi contribuire al benessere degli altri, credo sia un’eredità datami da mio padre. La mia fondazione, la Mother’s Heart è nata con l’intenzione di aiutare i tanti bambini bisognosi. All’inizio era un orfanotrofio che ospitava una cinquantina di bimbi, poi è diventata una realtà più grande e composita: l’intento oggi è di far sì che ogni 5 anni si riescano a togliere 2000 persone dalla povertà. E per farlo, proponiamo percorsi di istruzione, tutoraggio e apprendistati. Proviamo a spiegare la buona gestione del denaro, supportando programmi di business».

Ci può parlare di questo nuovo parco solare? Come dovremmo immaginarlo e quando sarà pronto?
«Intanto, quello che speriamo è che il progetto crei occupazione, diretta e indiretta. Direttamente perché abbiamo bisogno di molto supporto per l’installazione e la realizzazione del parco fotovoltaico. Indirettamente perché l’energia prodotta consentirà alle imprese di essere efficienti e produrre i servizi che offrono senza soluzione di continuità con elettricità affidabile. L’idea è quello di creare questo grande parco solare entro un anno e mezzo: speriamo di ottenere i finanziamenti necessari Abbiamo riscontrato alcune carenze di fondi e speriamo di ottenerle finanziamento necessario per completare nei prossimi 18 mesi».

Cosa significa essere una giovane donna di colore nel mondo degli affari? Che tipo di pregiudizi abbiamo devi ancora affrontare?
«Devo essere sincera: credo che il pregiudizio che le donne devono affrontare nel mondo degli affari non sia specifico per le donne nere, ma per le donne di tutto il mondo, di qualsiasi colore sia la loro pelle. Ci vengono fatte un sacco di domande su come crediamo di gestire il lavoro e la famiglia e, per essere considerate, dobbiamo sempre mostrare più dei nostri colleghi uomini. È un fatto, eclatante, tanto che la maggior parte del denaro del venture capitalist va a società gestite da uomini e le donne  ricevono poco più del 2%. Diciamo che in Africa, per la mancanza generale di fondi, il problema si aggrava ancora di più. Lo vedo per quello che riguarda me: non importta che ho in mano un’attività valutata oltre 500 milioni di dollari, non importa che sono partita da 3 dipendenti e che oggi ce ne siano 260: ogni volta che chiedo dei finanziamenti mi viene detto che il mio business sarebbe più interessante se potessi collaborare con una blue chip o una società occidentale o con qualcuno con “esperienza”. Quindi lo posso dire a ragion veduta: le barriere all’accesso al capitale per le donne continuano a essere un grosso problema».

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